Abbiamo terminato il raid in moto in Egitto iniziato il 19 dicembre 2009,
dopo 4.275 km.
Questa volta abbiamo vissuto durante il nostro tour emozioni contrastanti
tra loro.
Partiamo da quelle positive,
prevalenti.
Intanto il piacere di
esercitare il nostro sport attraverso paesaggi
desertici tra i più belli al mondo, come quello del deserto nero e del
deserto bianco nei pressi dell’oasi di Farafra, e la rigogliosa valle del
Nilo coltivata a palme da datteri, banane e canna da zucchero: le
sensazioni che abbiamo provato non si possono ottenere con un mezzo di
trasporto diverso dal nostro. Questo in un clima ideale per spostarsi in moto: dai 15 gradi del mattino ai
28 gradi del pomeriggio, mai umidi, un sogno per noi in dicembre. Con la benzina al costo di 20 centesimi di
euro al litro e strade asfaltate
in buono stato, molto migliori rispetto alle nostre aspettative.
Unica la notte passata
nell’accampamento sotto alle stelle nel deserto bianco, cucinando carne
sotto alla sabbia, cantando intorno al fuoco sotto alle coperte di
dromedario mentre la temperatura dell’aria scendeva rapidamente.
Poi ovviamente la felicità di
aver potuto apprezzare un patrimonio storico architettonico ed artistico, famoso nel mondo e a tutti noto
attraverso i libri di scuola ed innumerevoli servizi televisivi, che ciò
nonostante lascia senza parole quando vi ci si
trova dinnanzi. Per la grandiosità e la bellezza delle opere ciclopiche realizzate oltre 3.500 anni or sono e per lo
straordinario ingegno e tenacia con il quale in anni recenti è stato
recuperato o addirittura spostato in molti casi dalla sua sede originaria:
le piramidi di Giza, i templi di Luxor e quelli di Abu Simbel anche da soli
meritano la fatica (insieme alla sopportazione ed i pericoli, come diremo
poco qui avanti) di arrivare laggiù in moto.
Ma ci sono stati anche
diversi aspetti negativi importanti.
Prima di
tutto la sensazione di “libertà
limitata” ed in qualche occasione addirittura di prigionia che ci ha
accompagnato dall’inizio del viaggio e che ci è diventata sempre più
pesante da sopportare man mano passavano i giorni. Questo paese vive ancora
delle fatiche
delle generazioni antiche che hanno preceduto le attuali popolazioni, che hanno
edificato come si è detto le cose per le quali vale la pena un viaggio in
Egitto: per vedere queste cose da tutto il mondo arrivano qui giornalmente
in aereo migliaia di turisti che vengono inscatolati in bus più o meno
grandi e condotti per mano da un sito archeologico all’altro, con costosi
biglietti di ingresso, con soste dei bus solo strettamente necessarie e
sempre rigorosamente in aree attrezzate “per stranieri” piene di fastidiosi
venditori di souvenir. Ogni gruppo di turisti, piccolo o grande che sia, è
sempre accompagnato da uno o due agenti, armati, dall’aspetto talmente
inetto da far capire che sarebbero i primi a soccombere di fronte ad un
improbabile attacco di
terroristi. Con questa “normalità” nel turismo in Egitto, la
presenza di un gruppo di mototuristi come noi,
potenzialmente in grado di muoversi autonomamente sulle strade ha rappresentato
un “enorme problema” al quale il sistema di polizia ha reagito con una esagerazione esasperante: ci sono stati giorni che
abbiamo avuto con noi, davanti e/o dietro, più militari di quelli che noi
stessi eravamo. Discussioni anche accese ci sono state alcune volte per
riuscire a fare soste on the road dove volevamo
noi o per potersi staccare dal gruppo per meglio fotografare, o fermarsi
per un tè con la gente del posto, nelle loro “cafeterie”
o negozi. Tanto hanno fatto per cercare di impedirci di venire a contatto
con la popolazione rurale che ad un certo punto non siamo più stati in
grado di capire se la scorta era con noi per proteggerci da chissà quali
pericoli, o per proteggere invece il paese da una “contaminazione
straniera”, o per proteggersi da chissà quali azioni noi avremmo potuto
fare. Eppure da quel poco che abbiamo potuto
vedere gli egiziani e i nubiani ci sono apparsi sempre estremamente gentili,
festosi al nostro passaggio, pronti a socializzare, sempre disponibili a
farsi fotografare nella loro vita
ancora arcaica. Una condizione molto dura e misera, la loro, che a nostro
avviso potrebbe facilmente migliorare se anche solo una piccola parte delle
risorse portate dall’estero dal turismo fosse destinata all’ammodernamento
delle infrastrutture e delle attrezzature per le coltivazioni, invece che a
sostenere le centinaia di migliaia di agenti e militari che si vedono in
numero esagerato ovunque, teoricamente preposti a proteggere il turista e che invece
finiscono appunto con l’opprimerlo.
Altro aspetto molto negativo
del viaggio: la follia dei conducenti
locali di autobus ed auto, specie nelle grandi città, in particolare al
Cairo, assolutamente incuranti dei tentativi della nostra scorta di
tutelarci almeno un poco. Viaggiare dopo il tramonto è poi una roulette
russa: quasi sempre rigorosamente a fari spenti anche di notte, mentre stai
andando a 100 all’ora in autostrada te li trovi dietro improvvisamente ad
un metro di distanza che provano a superarti sulla destra. Il mototurismo
in questi posti diventa uno sport “estremo” tra i più pericolosi al mondo:
è un vero e proprio miracolo che a nessuno di noi sia successo niente.
A tutto questo occorre
aggiungere l’aspetto economico
della vicenda. I costi per la spedizione, l’importazione,
l’immatricolazione e la circolazione delle moto in Egitto sono abbastanza
alti e rendono il viaggio qui in moto molto più costoso rispetto ad un
viaggio organizzato in bus. Pesante
anche la necessità di elargire ovunque, specie alla schiera dei “custodi
armati” che cambiava continuamente, mance su mance. A finire, nelle
località più gettonate, l’arroganza di alcuni
gestori delle strutture alberghiere, a volte non all’altezza delle
aspettative dei turisti occidentali: sapendo comunque di avere il coltello
dalla parte del manico (le piramidi, i tesori delle tombe reali ed i templi
sono in Egitto, e qui bisogna venire per forza se le si vogliono vedere) non esitano mai a considerare gli ospiti
stranieri come dei polli da spennare, in molte occasioni.
Insomma, facendo una sintesi,
di questa esperienza motociclistica in Egitto si
può dire che è un viaggio del quale si è molto contenti di averlo compiuto
in moto ma che però, mettendo da parte la nostra passione, è forse meglio
fare come lo fanno tutti gli altri turisti “normali”, in autobus. Senza
neanche provare di vedere veramente l’Egitto di
oggi, limitandosi a vedere quello che fu, anche perché nell’Africa
settentrionale ci sono altri paesi con popolazioni, condizioni di vita e
paesaggi simili, anche se non altrettanto belli (l’Egitto è veramente
completo e straordinario da un punto di vista paesaggistico), che offrono
la possibilità di un mototurismo più divertente, in libertà e molto più
economico, come ad esempio la
Tunisia od il Marocco.
La nostra esperienza esplorativa in Egitto non andrà comunque perduta: per quelli che la vorranno vivere, preparati in anticipo
a godere ma anche a subire quanto detto sopra, questa avventura
motociclistica verrà da noi riproposta di nuovo il prossimo inverno, dal 18
dicembre 2010 al 8 gennaio 2011, con i cambiamenti e miglioramenti nel
programma che abbiamo capito saranno necessari per minimizzare gli aspetti
negativi che vi abbiamo raccontato, da noi invece sofferti in pieno.
Il numero minimo per garantire la partenza sarà di 12 partecipanti,
il numero massimo 12 moto, le quote di partecipazione saranno fissate entro
fine maggio 2010 e saranno probabilmente simili a quelle del viaggio appena
effettuato. IMPORTANTE: considerata la necessità
di confermare in tempo utile i posti sui voli aerei le iscrizioni dovranno
arrivare assolutamente entro il 15 settembre 2010 altrimenti il programma
verrà annullato.
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