Maggio in ANDALUSIA

Racconto di Bruno Rosati. Aprile maggio 2006.




Aprile 2006, dodici moto in Andalusia: alcuni pensieri, forse disordinati, ma onesti e sinceri.
“…ci portiamo tutti la' in zona (Ventimiglia) il venerdi sera e partiamo presto, cosi' da fare un passaggio anche in Camargue”: con questa e-mail nella testa, mia moglie (Tiziana) ed io (Bruno) abbiamo preparato le valige.
Di strada ne abbiamo fatta tanta (…in senso motociclistico!), ma è la prima volta che viaggiamo in gruppo, e per di più “organizzato”. Questo infilare tappe non previste mi suona bene: sono già stato in Camargue e un caffe a Les Saintes Maries de la mer vale bene qualche decina di chilometri in più. Più in generale ho una sensazione: fare chilometri si, …ma per vedere, per esserci, per capire. In effetti il tour prevede intere giornate di sosta, da dedicare alla visita di città come Cordoba, Sevilla e Granada, con tanto di guida parlante italiano.
Scoprirò “l’acqua calda”, ma ci tengo a ribadirlo: stare con il naso all’insù, rapiti dall’infinita bellezza di luoghi carichi di storia, mentre una voce esperta ti racconta il perché delle cose e ti indica dove e come guardare è un viaggio nel viaggio, un volo nel tempo, un abbraccio con il mondo.
Questo Dino (per chi non lo conoscesse Dino Mazzini è il presidente dell’associazione, nonchè tour-leader per l’Andalusia) è telegrafico, semplice, concreto: boh… vedremo!
Considerato che la partenza del tour è a 600 Km. da casa mia, prenoto una stanza in un hotel lì vicino indicatomi da Dino. A orari diversi cominciano ad arrivare altri partecipanti, segno distintivo: moto-muniti!
Una stretta di mano e finalmente ci si conosce. I nomi volano (troppi in una sola volta) ma i sorrisi rimangono. Da qualche parte bisogna cominciare: da dove vieni, quanti anni hai, che moto hai…etc etc.


Con questo spirito siamo partiti e ci siamo presentati all’appuntamento: 12 moto, di cui 4 in coppia. Un bel po’ di gente! Non conosco tutti, ma tutti sono comunque sono gentili e sorridenti. L’euforia è a mille. Tutti si presentano, si stringono la mano, si danno battute. Con il tempo le personalità verranno fuori, ma anche i lati meno brillanti saranno oggetto di scherzi affettuosi, quasi premurosi. In effetti il gruppo si stringe da subito: ci si preoccupa per chiunque si allontani o sia in difficoltà. Confesso che questo mi da molta sicurezza e mi consente di godere a pieno di queste fantastiche giornate di viaggio.
Una parola in più per il Dino, l’esperto del gruppo: questo modenese, che parla in fretta, con una voce da baritono, prevede il buono e il cattivo, i tempi e i contrattempi. In due parole ti presenta le opzioni possibili e senza tanti rigiri ti dice la sua, che nella maggior parte dei casi si rivela quella giusta.
E un’altra parola per l’Adolfo, il nostro “cane pastore”. Questo …enne torinese regalerà a tutti la sua pacata gentilezza, la sua sorprendente energia e la sua infinita curiosità
.

Insomma partiamo. Il passo è variabile, rigorosamente entro i limiti, direi tranquillo. Nelle lunghe percorrenze prima o poi ci si ritrova sempre. Comunque Adolfo non perde un bivio per aspettare l’ultimo ed evitare che sbagli strada.
La prima sosta, a Les Saintes Maries de la mer, ci avvicina mentalmente alla Spagna. Con le sue lagune dalle acque salmastre e le praterie di salicornia la Camargue è una Francia a se. Lungo la strada, sotto tettoie, al riparo dal sole, centinaia di cavalli riposano tranquilli. Mangiamo una “paella” e gironzoliamo fra turisti e gitani che vorrebbero predirci il futuro. Nella cattedrale riusciamo anche a vedere una delle Marie che sarà portata presto in processione.
Riprendiamo l’autostrada e alle 18.30 siamo a Girona. Alla reception dell’hotel cominciamo con il nostro spagnolo maccheronico, ma nonostante i miei timori mi sorprendo subito della facilità che italiani e spagnoli hanno di capirsi: mi capiterà spesso di riuscire a chiaccherare senza aver mai studiato lo spagnolo con spagnoli che a loro volta non conoscono l’italiano: ovviamente qualche momento di imbarazzante stallo sarà inevitabile.
Dopo cena, due passi per Girona, che viene annoverata fra le più antiche città della Spagna. Le vie si insinuano fra antichi palazzi che testimoniano la potenza catalana. Passeggiamo euforici, eccitati da questa prima serata spagnola.
All’indomani, di prima mattina partiamo per Barcellona: una visita alla Sagrada Familia è d’obbligo. Progettata dall’architetto Antoni Gaudí, la sua costruzione, iniziata nel 1883 e interrotta nel 1926, è stata ripresa nel 1979 sulla base dei disegni originari, e si protrae tuttora. In effetti l’imponenza delle impalcature è quasi pari a quella dell’edificio! La commistione di stilemi neogotici, suggestioni Art Nouveau ed evocazioni cubiste (questo l’ho copiato dall’enciclopedia!) quasi mi ubriaca. Un fatto è certo: in Spagna l’arte gode di una libertà illimitata.
Panino anzi boccadillo con jamon serrano (favoloso prosciutto spagnolo di montagna) e via di nuovo sull’autopista del mediterraneo.
Il traffico è minimo (altro che Italia). Nessuno ti da i fari mentre sorpassi. Lunghi curvoni e dolci saliscendi rendono l’autostrada gradevole. Ogni tanto fanno capolino il mare e purtroppo …i caselli: anche qui non scherzano, il pedaggio non è proprio un costo irrilevante. A distoglierci dai quattrini ci pensano i casellanti, che con il loro immancabile “olà” ci ricordano dove siamo.
Ma eccoci a Valencia. Anche qui dopo una doccia e un pasto caldo ci gettiamo nella città, ma questa volta in moto. Valencia è la terza città della Spagna, una milionata di abitanti. I viali sono infiniti, ma seguendo le indicazioni raggiungiamo il centro che strabilia per la perfetta illuminazione. Ogni strada, piazza o vicolo sono illuminati a giorno da una calda luce gialla che rassicura e permette di gustarsi, anche di notte, le bellezze architettoniche della città. Del resto qui, quando il sole da manetta è di notte che si risveglia la vita.
Vorremmo stare in giro per ore, ma la stanchezza si fa sentire, e quindi tutti a nanna.
Partiti da Valencia, la nostra destinazione è Cordoba. Il percorso studiato prevede una “full immersion” nella Mancha: Requena, Albacete, Casa Ibanez, Alcalà del Jucar, Alcaraz, Ubeda. Baeza, Linares, Andujar e infine Cordoba.
La Mancha mi rapisce. Il passo rallenta. Il vento non è più quello della velocità, ma quello di una immensa pianura nella quale ci perdiamo. Ognuno di noi è pervaso da una riscoperta intimità che solo luoghi magici sanno ispirare. Le ore passano senza fatica. La temperatura in aprile qui è ideale. Ad Alcaraz la truppa si ferma per ricompattarsi. La fame avanza e decidiamo di fermarla. Nella piazza centrale entriamo al Casino de Alcaraz, che scopriamo essere un bar dove facciamo finalmente conoscenza con le tanto attese “tapas”.
Le tapas sono nate in Andalusia nell'ottocento per accompagnare lo sherry. Il nome nasce dall'abitudine di coprire il bicchiere con una tapa (tappo o piattino) per tenere lontane le mosche. Dal piattino si è poi passati a piatti di formaggio, olive e salumi. Oggi le tapas più diffuse sono il queso manchego (formaggio di pecora prodotto nella Mancha), la ensalada de pimientos rojos (insalata fredda di peperoni rossi arrostiti e conditi con olio e aceto), il mitico jamon serrano (prosciutto crudo di montagna), l’onnipresente tortilla española (omelette di patate e cipolle), il pollo al afillo (pollo soffritto condito in salsa d'aglio), i gambas alla plancia (gamberi alla griglia), le albondigas (polpette di carne in umido), il salpicón de mariscos (insalata fredda di frutti di mare, aragosta, granchi, pomodoro a pezzi) e i banderillas (spiedini con pesce, verdure, uova sode, gamberetti, cetrioli e olive). Naturalmente se non vi basta c’è tutta la gamma dei boccadillos.
Perché un elenco così dettagliato? Perché sembra che gli spagnoli , d’abitudine, non pranzino a mezzogiorno come noi italiani ma si concentrino sulla cena, stuzzicando a più riprese queste tapas durante il giorno. Insomma hanno un proprio “fast-food” decisamente preferibile a quello d’oltre oceano: sono sicuro che “slow-food” approverebbe!
Il viaggio riprende verso Cordoba. La campagna Andalusa è bellissima. Ulivi a perdita d’occhio. Praterie con riflessi viola che sembrano dipinti. Tori che pascolano tranquilli. Ogni tanto i suoi caratteristici e bianchissimi pueblos, con le case completamente rivestite di calce bianca, che sbalordiscono per ordine e pulizia. In Spagna la gestione urbanistica, anche nei piccoli centri, è veramente “illuminata”. Nessun obbrobrio, tipo case a schiera intramezzate da palazzi anni 70.
A Ubeda, mangiamo un gelato. A Montoro l’ultima sosta prima di Cordoba. In queste cittadine si respira un’aria antica, con gente per strada e bambini che giocano, padroni delle piazze.
Alle 19.00 siamo in albergo. Anche qui doccia, cena e via in città. Domani ci muoveremo con obiettivi precisi: questa sera gironzoliamo senza meta. In giro non c’è molta gente. La passeggiata è placida. Sbirciamo in qualche vetrina. Una ci attira per la quantità di prosciutti esposti: jamon serrano! Finiamo in un vicoletto a bere una birra in un bar con tavoli in strada. L’atmosfera è gentile, anche i camerieri, e anche i prezzi: non è raro pagare una birra media 2 euro, e se prendi un rum (generalmente ne hanno di molte marche), te ne danno un “litro”! A questo punto si può andare anche a letto.
Ore 9: visita al Barrio della Juderia (il quartiere ebraico): è piacevole girovagare tra il dedalo di viuzze e piazzette e curiosare di tanto in tanto al di là dei portoni e delle cancellate che danno su patios (cortili) favolosi. Pittoresche le case bianche dai balconi ornati da preziose ringhiere colorate da una infinità di fiori. Le macchine fotografiche scattano in continuazione.
La nostra guida ci introduce alle vicende degli ebrei spagnoli.
Saranno Ferdinando di Castiglia e Isabella d’Aragona a introdurre nel 1478 l’inquisizione spagnola, e con essa i processi contro i marrani (ebrei convertiti al cristianesimo che segretamente continuavano a professare la propria fede). Se il reo non confessa, rogo e confisca dei beni. Se invece confessa, pene più o meno gravi, e sempre la confisca dei beni. Insomma più che di fede era una questione di quattrini, e gli ebrei, ne avevano tanti! Ma proprio l’esigenza di separare i “nuovi” cristiani dagli ebrei fu alla base dell’espulsione, nel 1492, di tutti gli ebrei dalla Spagna, da Cordoba e da questo quartiere dove io, senza dire una parola, mesto ascolto.
Ma lasciamo gli orrori contro gli ebrei per conoscere quelli contro i mussulmani. Qui il discorso si fa più artistico: stiamo per entrate nelle mastodontica Mezquita.
Nella Mezquita si contavano 850 e piu' colonne, mentre oggi, dopo lo scempio attuato all'interno della moschea per costruirvi un altare cristiano, ne restano circa la meta'. Le colonne si susseguono in file ordinate simili ad alberi in una piantagione. La tranquillita', la discreta grandiosita' non sono dovute al caso, e il visitatore se ne rende conto non appena entra nel Patio degli Aranci, dove gli alberi sono la continuazione del ritmo delle navate interne. Folle di persone si aggirano nell'edificio: posso solo immaginare la magia di un tempo data dal tremolio delle lampade ad olio e delle candele. All’entrata un addetto mi indica il cappello che indosso e che prontamente tolgo: non so se per rispetto a Gesù o Maometto, comunque non fa differenza.
Vorrei restare qui per ore. Fermarmi. Pregare. La mattinata è stata piena di stupore per la grandezza umana e soffocata dalla frustrazione per la sua crudeltà: homo hominis lupus.
All’una siamo di nuovo in strada (in moto intendo). Ma non per molto. La fame ci porta in un carinissimo ristorantino immerso nel verde, nei pressi della Medina Az.Zahara. Qui faccio conoscenza con un ottimo revueltos (uova strapazzate, gamberetti e qualcos’altro che non ho capito): buonissimo. Un po’ di sole, qualche chiacchera, e poi via per Sevilla, percorrendo la nazionale 431, sulla riva destra del Guadalquivir.
A Sevilla, ci fiondiamo alla “feria”. Un viaggio in Andalusia è sempre bello, ma se ci vai quando a se villa c’è la ferie è meraviglioso.
La festa si svolge in un'area appositamente attrezzata (recinto de feria), nel quartiere di Los Remedios. Nata come fiera campionaria di animali e prodotti agricoli, la feria è andata via via perdendo l'aspetto commerciale per rimanere solo occasione di festa.
La festa e' un vero e proprio tuffo nel passato e nella tradizione Andalusa: nella enorme superficie del Recinto vengono allestite più di 1000 casetas, all'interno delle quali la gente mangia, beve e balla la “sivigliana”. La maggior parte delle casetas sono private (con tanto di guardia all’ingresso) e si entra solo su invito, ma vedi comunque tutto quello che succede poiché dal lato strada sono completamente aperte. All'interno dell'area ci si muove solo a piedi o a cavallo (dalle 13 alle 17). L’atmosfera è di grande allegria, moltissime donne vestono il tradizionale “traje” e molte sono a dir poco bellissime: il viso elegantemente truccato, con un grosso fiore nei capelli e voluttuosamente fasciate da traje dal colore vivace.
Ci torneremo anche domani, dopo aver visitato in mattinata l’Alcazar, uno stupefacente complesso arabo, splendido esempio di arte mudéjar, e la cattedrale di Sevilla: su queste meraviglie rimando più dotte letture poiché posso solo riportare una sensazione di gigantesca magnificenza che non mai riscontrato prima!
Ma è la feria, con la sua parata di cavalli e di carrozze, che riempie il nostro pomeriggio. Ci sono cavalieri e cavaliere di tutte le età e tutti rigorosamente con abbigliamento tradizionale. Alcuni uomini portano le loro donne come da noi si portavano con la “vespa” negli anni ’50: con le gambe da un lato. Sono tremendamente romantici! L’atmosfera è surreale. Cavalli a centinaia ovunque. Mai vista una cosa del genere.
La serata è dedicata ad un appuntamento impedibile a Siviglia: il flamenco. Abbiamo prenotato nel pomeriggio al “tablao” de Los Gallos, uno dei più famosi gruppi in città. Lo spettacolo inizia con i tipici canti un po’ “lamentosi”. Ma la maestria ritmica (con piedi e mani) delle ballerine, unita alla inconfondibile sensualità delle movenze ci cattura per quasi due ore. Gli applausi sono sentiti e ripetuti.
Il mattino seguente si parte per Granada. Passeremo per Utrera e Ronda. Qui ci fermiamo per uno spuntino e una visita. La cittadina è incantevole, con il suo “ponte nuevo” che poggia su due colossali pilastri, a quasi 90 metri di altezza dal suolo. Da qui si gode una vista fantastica.
La giornata scorre via veloce, percorrendo strade secondarie ma comunque scorrevoli. Per noi moto-turisti è un vero paradiso.
Ma eccoci a Granada. Visiteremo l’Alhambra (o meglio “Qalat Alham- bra”, in arabo“castello rosso”, e il Generalife la cui fama è legata agli splendidi giardini (il nome deriva dall'arabo “Gennat al-Harif”, che significa “i giardini dell' architetto”).
Sono sopraffatto dalla quantità e dalla bellezza dei motivi decorativi, dalla fantastica complessità delle strutture: non è facile capire ciò che sta alla base dell'architettura islamica, il concetto assoluto di una verità trascendente, mistica, inavvicinabile se non attraverso il totale annullamento di ogni individualismo ed ogni singolarità. Solo scritte, figure geometriche e raffigurazioni stilizzate di frutti e vegetali. Fiori, specchi d’acqua e piccole fontane rendono ogni cortile è un paradiso a sé.
Dopo di chè, quasi per sgombrare la mente da questo viaggio nel tempo che l’Alhambra ci ha regalato, facciamo due passi in centro. Il centro di Granada è molto ben tenuto. Gigantesche palme adornano piazze e piazzette attorno alle quali gli edifici, tutti in stile, sono curatissimi. Passeggiamo piacevolmente nei vicoli dietro la cattedrale, l'Alcalceria, un bazar arabizzante, ricostruito alla fine dell'ottocento, in tipico stile moresco.
Nel pomeriggio, da motociclisti incalliti quali siamo, non perdiamo l’occasione per raggiungere la vicinissima Sierra Nevada. In pochi chilometri di bellissime curve siamo a 2500 metri. Le foto di rito vengono fatte sotto un temporale che di lì a poco ci propinerà addirittura 3 o 4 centimetri di grandine. Pazzesco: due ore fa stavamo in maniche corte, qui, e gli impianti hanno chiuso da poco, si potrebbe sciare!.
Ma è il giorno seguente che ci “sciroppiamo” un 300 Km di curve attraversando la Sierra lungo tutto il lato sud. Quando alla sera arriveremo a Valencia sarà un trionfo.


L’ultima tappa del nostro viaggio passa per Figueres e più precisamente per il museo di Salvador Dalì. Il progetto di riunire la sua opera nell’antico Teatro della città entusiasmò Dalí, il quale si dedicò al progetto per molti anni, disegnando e curando nei minimi particolari, ogni minimo dettaglio, fino a renderlo realtà nel 1974. Dalí unisce ad un virtuosismo tecnico notevole, il superamento di ogni limite alla più frenata fantasia.
Fra i tanti capolavori visti ne scelgo uno: “La persistenza della memoria”, il quadro in cui raffigura orologi molli adagiati o appesi come stracci. Con questa opera l’artista raffigura il tempo (inteso come razionale successione di istanti meccanicamente determinati) messo in crisi dalla memoria umana, che del tempo ha una percezione, in fondo, tutt’altro che razionale. Il nostro senso del tempo in effetti subisce dilatazioni o contrazioni in relazione alle sensazioni che lo accompagnano.
Abbiamo viaggiato per dieci giorni, ma la bellezza di questa fetta di mondo li ha, nella nostra mente, moltiplicati, insegnandoci ancora una volta che viaggiare è capire, e capire è vivere.
A tutti i miei compagni di viaggio va un fraterno abbraccio per tutti i sorrisi che mi hanno regalato. A mia moglie l’onore di chi sa sopportare 1200 km in un giorno, nella speranza che il nostro viaggio insieme non finisca mai.